del 24 novembre 2000
PRIMO PIANO
In diretta, al fianco della polizia di frontiera, nei boschi dell’Isontino, un arresto e il fermo di sette cinesi subito rimandati in Slovenia La lunga notte all’inseguimento di passeur e clandestini Tre auto passano il confine alla Casa Rossa, poi caricano i passeggeri. L’inseguimento, la cattura
GORIZIA È un attimo. Mercoledì notte, come ogni notte. Un attimo che ti cambia
un pattugliamento, quell’attimo che ti può costare la vita. La tua, quella
del tuo compagno che ti siede a fianco nell’auto civetta che percorre
sgommando le curve insidiose del Vallone, quella dei clandestini che stai
inseguendo. Perché è solo per caso, fortuna o destino che un inseguimento
mercoledì notte non si è tramutato in tragedia, che la «notizia» sia l’arresto
di un passeur sloveno e di sette clandestini cinesi e non una corsa dagli esiti
drammatici. Perché è questo quanto accaduto mercoledì notte. Ed è questo che
accade ogni notte. Così, con l’adrenalina ancora alta e il fiatone che non ti
molla, un pattugliamento sul quel «maledetto» confine invisibile si conclude
da dove è partito, alla Casa Rossa, per redarre un verbale e raccogliere i
primi elementi per le indagini.
Non sono le sequenze stereotipate del solito film d’azione dove tutto,
comunque, finisce con lo sbirro che prevale sul criminale. Sono i fotogrammi di
una notte di inseguimenti dove i protagonisti, tanto anonimi quanto guest star,
sono gli uomini e le donne in divisa della polfrontiera di Gorizia. In una
polizia dove sovente i veleni e le battaglie sindacali attraggono l’attenzione
più delle indagini, quasi con imbarazzo seguiamo l’opera di un nucleo
investigativo dalla compattezza insolita. L’imbarazzo è dovuto al fatto di
doverci quasi «intromettere» nel lavoro di uomini che sono entrati in servizio
alle 8 del mattino e - tra un clandestino e un documento, una relazione e una
«soffiata» - sono ancora qui, a mezzanotte passata. E nessuno sbraita
invocando gli straordinari non pagati, le competenze accresciute, i confini
colabrodo di Schengen, i mezzi da adeguare. Sono perfettamente consapevoli della
lotta impari che li costringe, come Davide contro Golia, a scrutare un confine
che ogni notte ti vomita addosso cingalesi, curdi, rumeni, cinesi. Eppure
mercoledì notte, come ogni notte, alla faccia di tutto, sono ancora in auto.
Tutto inizia alle 22. Il pattugliamento in città nelle due ore precedenti è trascorso come di routine. Nonostante la pioggia sia cessata e Gorizia sia avvolta in una nebbia che tutto attutisce la solita ondata di clandestini è ridotta a una placida marea. Due uomini bengalesi vengono intercettati vicino alla stazione Transalpina, in città le pattuglie di Volanti e Polfrontiera spesso si incrociano lungo i percorsi più battuti dagli immigrati. Ma alle 22 è diverso. Dal valico di Casa Rossa transitano tre auto. Sono di media cilindrata, una Yugo 45 e una Fiesta rosse, e una Opel grigia, tutte con targa slovena. Alla guida giovani, facce per bene di ventenni qualunque, capelli tagliati corto, vestiti curati. Apparentemente nulla di anomalo. Eppure...
I ragazzi della polizia di frontiera diretti dal dottor Luigi Amorosa quasi ci scherzano: «Abbiamo fiuto..!». Sarà bravura, sarà fiuto, sarà fortuna. Comunque quelle tre auto non li convincono. In un tam tam via radio o via telefoni cellulari (spesso i propri, e non certo quelli non forniti dall’Amministrazione) le pattuglie si alternano nell’inseguimento. Inizialmente è discreto, poi più serrato. Come quando domi un cavallo, alle due auto viene lasciata un po’ di briglia, pronti però a tirare il morso affinché si sappia chi gestisce l’azione. Quei ragazzi, faccia perbene del figlio che vorresti, prima effettuano una telefonata da una cabina pubblica, poi si dirigono verso l’abitato di Visintini. All’improvviso accostano le auto lungo il ciglio della statale che conduce a Trieste. Eccoli. Dall’ombra riemergono frettolose ombre che si tuffano nelle utilitarie. Poi via, via di corsa. La meta, al momento, sembra essere il Lisert. Poi, chissà. Probabilmente l'autostrada per Mestre, dove i traghettatori cinesi attendono la loro merce preziosa per la quale si paga (profumatamente) per una consegna door to door.
È il momento di far scoccare le redini. Sui tettucci delle auto civetta svettano i lampeggianti che rischiarano questa strana notte di nebbia e paura. I passeur pigiano sull’acceleratore. Li seguono i poliziotti. Una curva, poi la seconda, la terza. Il Vallone è maledetto, soprattutto in una serata così, quando la nebbia nasconde le distanze e rende l’asfalto viscido. Passano le case, i paesi. È difficile affiancarsi. Il sorpasso impossibile. Ma ecco un rettilineo, prima del cartello che annuncia Jamiano. La prima auto della polizia di frontiera supera a tutta velocità la Fiesta e la Yugo 45, mentre la Opel, che fa da staffetta apripista al carico, riesce ad allungare la corsa. Un poliziotto agita la paletta rossa e bianca e intima l’alt. Dietro altre «pantere». Sembra fatta. Come nei film, come ogni notte. Ma è un attimo, quell’attimo che può cambiare tutto.
I passeur, a sorpresa, frenano e innestano la retromarcia.
Cercano una via di fuga, qualsiasi, anche la più disperata. Le «pantere» che
li inseguono cercano di fare altrettanto. Le auto si sfiorano, sgommano,
sterzano. Ma la strada è stretta e trafficata. Ai lati i costoni del Carso. È
un attimo, appunto. La Yugo 45 e la Fiesta finiscono fuori strada, risucchiate
dagli arbusti. Un passeur tenta il tutto per tutto. Apre lo sportello, lascia il
«carico umano» e fugge nella notte. Lo segue un clandestino. Ci mettiamo all’inseguimento.
Il cinese è terrorizzato, forse già stremato da chissà quale viaggio, e quel
groviglio di rovi e nebbia lo privano di ogni forza. Si accascia a terra,
svenuto. Sembra morto. Il poliziotto si blocca impietrito. Avranno la stessa
età, e lui ha ancora negli occhi l’immagine di un immigrato che mesi fa per
sfuggire all’arresto volò giù dal Carso per otto metri. Viene chiamata l’ambulanza,
mentre tutto attorno si improvvisa una battuta. L’altro passeur viene
ammanettato al volante della Ford Fiesta tramutata per l’occorrenza in
improvvisata cella di sicurezza anche per gli altri quattro cinesi. Arrivano
altre pattuglie di rinforzo.
Inizia la «caccia». È il momento più difficile, il più pericoloso. Mentre
ti addentri tra i rovi che ti scorticano le mani e l’anima, senti crescere la
tensione. Le fotoelettriche (poche) illuminano a malapena il terreno, i buchi,
gli anfratti. Nel buio le ombre dei poliziotti si confondono con quelle degli
alberi. L’udito è teso a cogliere ogni rumore, ma nella notte tutto viene
ingigantito, deformato. Si procede, comunque. Anche sapendo che il terreno
sconnesso potrebbe celare inattese foibe. Anche temendo che il passeur possa
essere armato. Perché, così come avvenuto a Trieste, se la «merce» è
preziosa e l’organizzazione che l’attende non ammette errori, i trafficanti
di uomini possono mettere in bilancio anche gli spari. I poliziotti impugnano la
Beretta calibro 9 d’ordinanza. Si procede così, in un silenzio surreale,
illuminati dalla luce blu dei lampeggianti, mentre le dita soppesano il
grilletto. Per un’ora si tenta il possibile e l’impossibile. Non si sente il
freddo che entra nelle ossa, la stanchezza della giornata trascorsa. Si guarda
tra i cespugli, dietro i massi. «Riescono a nascondersi ovunque - commenta un
ispettore - Come fai a trovarli in queste condizioni?».
Il buio e la nebbia dopo un’ora hanno infatti la meglio. Per questa notte. Ma
già domani sarà una nuova sfida.