del 19 marzo 2001

IMMIGRAZIONE Lo aveva promesso il ministro dell’Interno Enzo Bianco tre mesi fa. Ma il progetto sembra accantonato

Gradisca, il centro profughi che non c'è

La denuncia del segretario del SAP. Troppe resistenze incrociate: la popolazione teme disagi e pericoli

Gorizia NOSTRO INVIATO

Tutto pulito, tutto ordinato, tutto maledettamente deserto. Le torrette delle sentinelle sono vuote, per la semplice ragione che non c'è nulla su cui vigilare. Le palazzine della truppa sono chiuse, le tettoie non servono più da ricovero agli automezzi, le pompe di benzina sono arrugginite, e così il cancello d'ingresso, spalmato di una vernice azzurra che cerca inutilmente di nascondere le rughe lasciate dal tempo. La caserma «Ugo Polonio », alla periferia di Gradisca d'Isonzo, è diventato l'emblema dell'Italia che annaspa nell'emergenza davanti alla marea umana che ogni notte e ogni giorno si abbatte sul fragile confine con la Slovenia. A dicembre il ministro dell'Interno Enzo Bianco, dopo aver sorvolato in elicottero la frontiera colabrodo assieme ai comandanti generali di Carabinieri, Finanza e Polizia, diede l'annuncio: entro un mese qui sorgerà un centro di accoglienza per i clandestini rintracciati nella zona di Gorizia, la più trafficata dei Paesi dell'accordo di Schengen. Di mesi ne sono trascorsi più di tre, ma la «Polonio » è rimasta ciò che è dal '97, una caserma inutilizzata. Neppure un chiodo è stato battuto, non si fa nulla per accogliere i disperati dell'immigrazione clandestina.

Anche Palazzo San Giuseppe, nella prima periferia di Gorizia, è deserto. La sala da pranzo è linda, le tavole con la tovaglia in plastica colorata sono state appena pulite. Alle pareti tre carte geografiche. La prima è del Medio Oriente, la seconda dell'Europa, la terza del mondo. «Non pensano mai di essere in Italia, credono di trovarsi in Francia o Germania» spiega un volontario Caritas. I taze-bao scritti in inglese, francese, tedesco, turco e soprattutto in curdo spiegano che questo è un Centro di prima accoglienza, dove si può usufruire gratis di bagno e doccia, ci si può riposare e rifocillare. La permanenza non può superare le 12 ore, il tempo necessario per le pratiche con la Polizia.

I volontari hanno rimesso a posto tutto dopo che l'ultimo contingente della notte è stato accompagnato in Questura. Al primo e secondo piano, sette camere, 40 posti-letto, paiono i dormitori di una colonia-modello. Nel guardaroba gli armadi sono gonfi di vestiti nuovi dismessi da negozi o semi-nuovi frutto di carità. Un cestone raccoglie bambole e bambolone, animaletti in pezza da coccolare. «È la prima cosa che diamo ai bimbi» spiega una signora di mezza età. «Gli adulti manifestano una dignità eccezionale, sono stanchi, bagnati, sporchi per il viaggio, ma restano tranquilli ed educati. Sistemano le loro cose, sparecchiano le tavole». Molti si esprimono a gesti, con poche logore parole d'inglese.

Questo è il volto della solidarietà privata che funziona e ha costruito un temporaneo baluardo contro l'indifferenza nella terra dove qualcuno vorrebbe ereggere un muro, con l'esercito in armi, così da impedire l'accesso dei derelitti all'eldorado della Comunità Europea. Al contrario, il progetto del governo sembra ormai accantonato, visto che il decreto del ministro per il Centro di Gradisca è stato firmato a dicembre, ma manca il progetto del Genio Civile, poi dovranno venire gara d'appalto ed esecuzione. «L'avevo detto al capo della Polizia, mi pareva strano che in 30 giorni potessero fare tutto. Mi è stato risposto che agli aspetti tecnici ci pensavano loro e che se dicevano un mese, un mese sarebbe stato». Angelo Obit, segretario del Sindacato Autonomo di Polizia, è una delle persone che meglio conosce le contraddizioni del passaggio a Nord Est. Le ha denunciate, ha attaccato le autorità che non volevano ammettere il gravissimo problema di legalità e sicurezza. Adesso può dire che aveva ragione.

Il "Centro di temporanea permanenza" di Gradisca, l'unico nelle tre regioni nordorientali, non decolla per troppe resistenze incrociate, nonostante la legge Turco-Napolitano preveda che un clandestino resti in queste strutture fino al riconoscimento (ma non oltre un mese) prima dell'espulsione. La popolazione teme che 200 immigrati creino disagi e pericoli. An e Lega Nord hanno cavalcato la protesta. Anche i Centri Sociali sono contrari, ma per opposti motivi, temono illager. La ricetta di Bianco mediava esigenze di sicurezza e di dignità umana: «Nè carcere, nè albergo». Parole vuote, almeno fino alla prossima legislatura. Nell'attesa non restano che i Centri di prima accoglienza. Una terza via probabilmente esiste, anche se non è prevista dalla legge. Si tratta di creare, come ha sostenuto il Comitato parlamentare su Schengen, un "centro di smistamento", «che sia in grado di fronteggiare le esigenze organizzative connesse al rintraccio di clandestini, all'identificazione e all'eventuale respingimento».

«È anche la nostra proposta - spiega Obit - perchè un Centro di temporanea permanenza, visti gli afflussi, in quattro giorni è pieno. Cosa si fa dopo? Si rischiano solo operazioni di facciata, come già accaduto». Gli esempi non mancano. Prendiamo le ronde miste italo-slovene. Da pochi giorni sono andati via i 30 uomini aggregati dal Ministero dell'Interno alla Polizia di Frontiera. E così la ronda è rimasta una sola, per sei ore al giorno. L'elicottero non c'è più. I numeri ufficiali parlano di 1350 clandestini individuati a gennaio e febbraio, una cifra troppo bassa. In realtà gli ingressi non sono diminuiti. Basta andare alla biglietteria ferroviaria di Gorizia e fare i conti. Fino al '99 le medie d'incasso erano di 200 milioni al mese. Da settembre 2000, grazie ai clandestini, si sono superati i 300 milioni, a ottobre si è arrivati a 400. Chi prende il treno per Venezia, Milano e Roma, il biglietto lo compera, non vuol correre altri rischi. A gennaio hanno incassato 300 milioni, a febbraio 325 milioni.

Quindi il flusso non si è arrestato. Siamo nella media di passaggi che ha portato a chiudere il 2000 con 15.200 clandestini bloccati, di cui duemila riammessi in Slovenia, 60 rimpatriati in aereo, 6 inviati al Centro di accoglienza di Milano e la bellezza di 13 mila lasciati andare con il foglio di via. La Polfer ha anticipato il primo turno di un'ora e adesso comincia alle 6, così da consentire i controlli sul primo treno utile per Udine. Prima era una sorta di fascia oraria assolutamente senza controlli.

L'ultima novità sulla frontiera che non c'è è costituita da una direttiva della Procura di Gorizia che ricalca quella dei Pm di Trieste impegnati da anni (con ottimi risultati) nella repressione delle organizzazioni che si arricchiscono sulla pelle dei disperati. Ogni extracomunitario deve essere interrogato (con interprete) per acquisire i dati relativi al viaggio, ai contatti con ipasseur, alle somme pagate, alle propagini in Italia delle bande di schiavisti. E tutto finirà in una banca data, racconto a fini giudiziari del dramma di un'umanità dolente e in perenne cammino.

Giuseppe Pietrobelli