del 18 novembre 2000

 

FRONTIERE E CLANDESTINI

Pochi Pm e «qui a Gorizia non abbiamo neanche un computer»

Gorizia

NOSTRO INVIATO

 

Massimo Lia, sostituto anziano della Procura della Repubblica di Gorizia, capelli bianchi e tratto gentile, è come il bambino che divenne eroe nazionale olandese perchè un giorno vide un foro nella diga. E ci infilò il ditino per impedire che l'acqua, uscendo dalla piccola falla, potesse erodere il bastione causando danni da diluvio universale. Soltanto che qui le terre sono già sommerse da un bel pezzo, l'Arca della Giustizia è da anni in balia dei flutti, ovvero del fiume in piena dell'immigrazione clandestina. Anche se nessuno ha voluto ammetterlo, ha voluto accorgersene, ha provato a metterci un rimedio. A parte Angelo Obit, segretario provinciale del Sindacato Autonomo di Polizia, che con i suoi uomini è arrivato al punto di impacchettare simbolicamente le frontiere perchè si facesse qualcosa, o soltanto ci si volesse rendere conto che l'emergenza in questa città di 38 mila abitanti è ben peggiore che in Puglia o sul Canale d'Otranto.

Nel palazzo di giustizia dalla severa impronta mitteleuropea, le parole del presidente Ciampi («Occorre fare di più... soprattutto preveniamo, con l'attento controllo all'ingresso e con l'efficacia, l'opera di accoglienza degli immigrati») appaiono patetiche, tardive, un incitamento a chiudere le porte quando già i buoi sono scappati. «Non sono solo pochi mesi, sono anni che cerchiamo di far fronte a questa situazione...» sospira il sostituto procuratore Lia. I fascicoli sono ammonticchiati dappertutto, straripano dagli armadi, invadono i tavoli e perfino le sedie. «Ne abbiamo a centinaia ogni anno per immigrazione clandestina, anzi l'80 per cento degli arresti effettuati in provincia riguardano reati di questo tipo». Poche cifre, ma eloquenti.

Adesso si sta scoprendo che Gorizia è il vero buco nero che inghiotte centinaia di clandestini al giorno. I dati ufficiali parlano di 12 mila rintracci nei primi dieci mesi dell'anno. Ma a passare le frontiere sono almeno 500 persone al giorno (così ha appena calcolato il Sap), il che equivale ad almeno 150 mila ingressi clandestini in un anno. «Da noi è facilissimo entrare, i confini sono liberi, agevolmente superabili. - spiega Massimo Lia - Tutta la zona carsica presenta queste caratteristiche, non c'è pattugliamento idoneo, non c'è recintamento, i boschi sono raggiungibili da tutti, i piccoli gruppo passano inosservati».

Una nave con mille clandestini fa notizia, cinquanta camioncini con venti extracomunitari ciascuno passano quasi inosservati, cento gruppetti di dieci persone ancora meno. Ma non per gli addetti ai lavori e per la loro impotenza. In Procura c'è un capo, più quattro sostituti. Ma fino a un anno fa erano solo due. Quando ci fu l'unificazione con la Circondariale, il procuratore di quest'ultima, Finazza Flory che reggeva l'ufficio da solo (l'organico previsto era di tre Pm), se ne andò a Trieste e una montagna di dossier finì sui tavoli del procuratore Carmine Laudisio e dei suoi sostituti. Solo con il tempo l'organico complessivo è stato portato a cinque unità, pur sempre una in meno della nuova pianta organica.

E così il procuratore Laudisio si è scocciato. Lo ha scritto senza mezzi termini nella relazione per l'anno giudiziario che giorni fa ha spedito in Procura Generale. «L'ufficio ha preso in carico 11 mila 210 procedimenti penali dalla Procura Circondariale, che si sono aggiunti ai 1.029 della Procura presso il Tribunale, ma l'organico è calato. Il sistema è ingovernabile...» scrive. Si rischia lo stato di emergenza, se non addirittura di calamità giudiziaria, a causa del flusso inarrestabile delle immigrazioni clandestine.

Gli effetti sul lavoro si vedono. Con un numero talmente esiguo di pubblici ministeri non c'è "pool" anti-immigrazione. Non c'è neppure specializzazione, anche se da gennaio una nuova divisione del lavoro sarà studiata. Ma soprattutto le tecniche investigative e i supporti logistici rimangono assolutamente rudimentali. «Sì, ho visto come lavorano a Trieste, raccolgono ed elaborano i dati, ma loro hanno una dotazione più idonea di organici, forze di polizia giudiziaria, mezzi tecnologici...» ammette Lia. «I computer non li abbiamo... per ora».

Ciò che il sostituto anziano non dice è facilmente intuibile. A Gorizia c'è solo la penna biro, qualche macchina da scrivere e poco altro. Invece, a Trieste il procuratore della Repubblica Giovanni Maria Pace è riuscito a impiantare una vera macchina da guerra giudiziaria. Ogni immigrato intercettato viene interrogato, fotografato, indica luogo di partenza, destinazione, mezzi di trasporto, persone con cui è entrato in contatto, numeri di cellulare dei passeur. Il tutto, con foto e impronte, finisce in un cervellone, reticolo di una trama in perenne evoluzione, le grandi organizzazioni criminali che controllano i flussi dei disperati che sognano di attraversare una frontiera. I risultati si sono visti, a Trieste, con operazioni che hanno condotto fino in Slovenia e Croazia, che hanno fatto arrestare fior fior di persone diventate miliardarie con il traffico umano.

Le grandi attività illecite sono sensibilissime alle leggi di mercato, si indirizzano dove è più facile produrre ricchezza o dove il rischio è minore. E così il deterrente di finire - a Trieste - in qualche inchiesta per associazione a delinquere induce a spostare i disperati della notte di qualche chilometro, verso i sentieri del Goriziano. «L'esercito? Dal mio punto di vista ritengo che tutto ciò che consente di limitare il verificarsi dei reati legati all'immigrazione clandestina, ovvero il livello di prevenzione giovi anche alla repressione» risponde il sostituto Lia. E quindi ben vengano politiche efficaci. «Ma non spetta dire a me se sia più confacente l'impiego dell'esercito o altri tipi di controllo per rendere la vita difficile alle organizzazioni criminali che speculano sui singoli, a cui va comunque la nostra solidarietà umana». Nel disastro, l'unica fortuna di Gorizia è che i clandestini arrivano solo per transitare. Non cercano qui una casa e un lavoro, questa è solo una tappa, ben più lontane sono le terre dove sognano di portare le loro famiglie sbandate e derelitte.

Giuseppe Pietrobelli