del 14 novembre 2000

 

CRONACA REGIONALE

 

Stazione di Gorizia, capolinea dei disperati

I clandestini si ammassano nelle sala d’attesa. Qualcuno offre marchi e chiede:

«Puoi portarmi lontano?»


Centoventi minuti per rincorrere un treno e le speranze. Con un complice involontario: le stesse forze dell’ordine.

Ogni notte, infatti, gli immigrati che entrano clandestinamente nel territorio italiano hanno due assi da giocare: l’ufficio della polizia ferroviaria sprangato fino alle 7 e le pattuglie della Questura e della Polizia di frontiera in tilt perchè alle prese con le centinaia di extracomunitari fermati nelle ore precedenti. L’emergenza clandestini a Gorizia è anche questo. Un popolo di ombre che si materializzano, una a una, quasi dal nulla.

Sono le 5. In una Gorizia spettrale e gelida dagli usci sbarrati dinanzi la notte e all’esondazione dei clandestini, solo i fari di un furgone del latte rischiarano corso Italia. La strada conduce dritta alla stazione. Da alcune vie laterali si materializzano uomini i cui volti non hanno bisogno di passaporto. Si stringono in povere giacche di cotone o similpelle che coprono malamente i diversi strati di camicie e pullover lisi. In silenzio, scivolano lungo il Corso come se il Pifferaio magico dei fratelli Grimm li stesse richiamando verso la stazione.

5.10 Due giovani uomini ci fermano e, mostrando alcune banconote di marchi, ci chiedono di accompagnarli lontano, verso Udine o Mestre. Può accadere anche questo: diventare, volendo farlo, passeur per una notte. Recenti indagini stanno dimostrando che, per diversi isontini, la tentazione di arrotondare in tal modo lo stipendio è già divenuta realtà.

5.20. La sala d’aspetto in stazione è già un compendio di etnie. Le porte di vetro trattengono all’esterno il freddo: per questo viene riservata alle donne e ai bambini. Gli uomini, a gruppi di quattro, controllano l’«atollo». Chi dal piazzale Martiri della Libertà, chi lungo i binari, chi dal sottopasso. Nell’atrio c’è un ragazzino, faccia pulita e sbarazzina di 13 anni. È curdo. «Ha lasciato la famiglia per tentare la fortuna in Francia», spiega l’amico più grande in francese. Un bambino alla corte degli adulti, fiero di essere stato scelto per fare il «palo», come loro. Ma pur sempre un bambino. Un altro uomo si pavoneggia in un improbabile completo gessato, di taglio insolitamente occidentale e inspiegabilmente pulito nonostante il lungo viaggio. «Bello, vero? - ci chiede orgoglioso - Me lo ha dato un amico...». Un amico che, assieme ad altri amici, gli ha fornito vestiti grazie ai quali camuffarsi, cibo per ristorarsi, denaro per acquistare i biglietti e le indicazioni sul viaggio. Meglio di un’agenzia viaggi: i clandestini al loro arrivo conoscono addirittura su quale binario attendere il treno. Che amici....!

5.30 Scavata dal continuo passaggio di uomini, celata da una fitta boscaglia, c’è una stradina che costeggia i binari. Da Nova Gorica conduce direttamente in stazione. La scorsa settimana avevamo trovato i segni tangibili del passaggio dei clandestini, ma anche di pranzi e del cambio d’abiti frutto non certo d’improvvisazione. Gli immigrati che non si arrischiano ad attendere in stazione, ritornano ad essere ombre. Ci avviciniamo, ma il fascio di luce della torcia elettrica li spaventa. Forse ci scambiano per poliziotti. Scappano tra i rovi e gli aceri. Una corsa confusa, impaurita. Strattonano rami, spostano cespugli e via via la strada della fuga viene indicata dal volo rabbioso delle gazze ladre destate all’improvviso. Temendo probabilmente di essere arrestati, non ascoltano spiegazioni. Dopo migliaia di chilometri, altri rischi non sono accettabili.

5.55 Ritorniamo all’«atollo», sempre più affollato. I clandestini saranno almeno una quarantina. Attendono il treno regionale delle 6 che conduce a Udine o l’Euronight proveniente da Vienna e diretto a Venezia delle 6.48. L’attesa è nervosa: c’è comunque il rischio che una volante abbia concluso le pratiche con gli immigrati già fermati e metta a segno un blitz inatteso.

6 Apre la biglietteria. Qualche clandestino acquista i biglietti «una tantum»: pagano in quattro, saliranno in otto. Allo sportello è tutto un gesticolare. Dialoghi surreali dove sprazzi di francese si assemblano a brandelli di inglese. Concludono le imprecazione di rito, rispettivamente in friulano o turco.

6.05 Una decina di clandestini preferisce non attendere il più comodo Euronight. Hanno fretta, forse sulle loro teste pesa già qualche provvedimento di espulsione. Salgono sul treno per Udine. O, per meglio dire, ne vanno all’assalto. Anche le regole di sicurezza più elementari non vengono rispettate: saltellano tra i binari, cercano di forzare le porte bloccate, afferrano le maniglie con i vagoni già in movimento, non temono l’arrivo di un secondo convoglio in corsa. «È solo per miracolo se qualcuno non è stato ancora travolto», commenta il bigliettaio Marino Carrara.

6.50 Da pochi minuti la stazione è rischiarata dalle prime luci del sole. L’Euronight si ferma al primo binario. Per una quarantina di clandestini è l’alba di una nuova vita.

7 Apre l’ufficio della polizia ferroviaria (tra l’altro destinato nel 2001 a essere smantellato) che per tutta la notte è stato ben protetto da robuste serrande. L’«atollo» delle impunità si dissolve, pronto a riemergere tra 12 ore.

 

C’è anche un bambino, ma nessuno se la sente di comporre il «113»

Pendolari ancora assonnati e studenti fanno a gara per aiutarli


GORIZIA - Tutti sotto la stessa pensilina. Infreddoliti, assonnati, con la mente che insegue altri pensieri. Clandestini e pendolari assieme, accomunati dall’attesa di un treno. Così, come fosse l’evento più naturale. Bancari «armati» di valigetta 24 ore accanto al curdo con il suo povero mondo racchiuso in un sacchetto di plastica, l’operaio diretto al Triangolo del Manzanese assieme all’indiano che sogna un lavoro così. Nessuno dei pendolari ritiene di dover allertare polizia o carabinieri: per timore, per apatia, perché la compassione è maggiore della sete di giustizia oppure perché è più facile crederli già provvisti del decreto di espulsione. Motivi diversi, stessa abitudinaria convivenza con un’emergenza clandestini che, vista da questa pensilina, sembra più mediatica che sociale.


Quando arriviamo, alle 5, c’è solo una signora di mezza età. Infagottata in un giaccone blu guarda i dieci, poi venti, quindi trenta e infine quaranta clandestini che affollano la stazione. In altre realtà, sarebbe giudicato un contesto quantomeno pericoloso. Eppure lo sguardo della donna è incuriosito piuttosto che spaventato.
Talvolta scatta anche un certo sentimento di «complicità», ben diverso dall’altra complicità, quella di quanti speculano sul traffico di uomini. Così alla domanda di una famiglia curda sul binario dove attendere il treno per Mestre, scatta una sorta di gara di solidarietà: una studentessa corre a guardare il cartellone delle partenze, un impiegato s’informa con il bigliettaio, un terzo a gesti li invita ad affrettarsi nel cambiare binario.

Avranno i documenti in regola? Saranno già stati fotosegnalati dalla polizia? Domande che in un’alba goriziana come tante altre non vengono in mente a nessuno. Sarà anche «complicità», ma nessuno se la sente di comporre il 113 dinanzi a un fagottino infreddolito di due anni con gli occhi spauriti. Stretto tra le braccia di una madre stavolta da un viaggio impossibile, in un’alba gelida quel bimbo diventa quasi il simbolo di una società multietnica che per realizzarsi possa fare a meno dei trafficanti di uomini.

 

(Commento, eppure il Questore solamente il giorno prima aveva affermato che questo non è un confine colabrodo e di avere la situazione sotto controllo)