del 13 aprile 2001
L’attività investigativa e il ruolo della Procura della
Repubblica
«Il traffico dei clandestini implica reati gravi sui quali si deve indagare»
Egregio Direttore, mi riferisco all’articolo a firma Roberta Missio pubblicato da codesto giornale nella prima pagina e nella cronaca locale di Gorizia del 5.4.2001 sotto i titoli «Immigrati, la polizia protesta – Impossibile interrogarli tutti», «Procura-Polizia, stress da clandestini».
Lo scritto prende lo spunto da un incontro avvenuto il giorno 4 c.m. tra questo Procuratore e il Questore e alcuni Funzionari della Polizia di Stato, in tema di direttive tese a contrastare la criminalità connessa all’immigrazione clandestina. La redattrice, partendo dall’esatta premessa della necessità della «individuazione dei trafficanti di uomini», pone in evidenza – richiamando altresì una nota del Siulp del 26 marzo – anch’essa apparsa su codesto quotidiano sotto il titolo «Direttive anticlandestini, polizia in tilt» – il disagio derivante alle forze di Polizia dall’osservanza degli adempimenti richiesti da questa Procura, gravosi quanto asseritamente inutili, inconcludenti e comportanti «una mortificazione dell’autonomia della p.g. e un rallentamento dell’attività operativa».
Non so quale sia la fonte di tale informazione che va, comunque, decisamente confutata. Al riguardo si impongono alcuni chiarimenti per evitare fughe di notizie parziali e incomplete, con il rischio di alterare e stravolgere il significato dell’attività investigativa richiesta alle forze dell’ordine. Sull’argomento è bene sgombrare il campo da ogni possibile equivoco.
L’ingresso clandestino nel territorio nazionale di persone provenienti da Paesi extracomunitari è evento, per se stesso considerato, scevro da qualsiasi connotazione di illiceità penale. I fatti penalmente proibiti sono diversi e si riferiscono ai reati connessi all’immigrazione clandestina e, in particolare, a quanti la favoriscono, nuovi mercanti di uomini, dediti allo sfruttamento, più ignobile e disumano, degli immigrati. È di intuitiva evidenza il disvalore etico-giuridico di un fenomeno delittuoso che desta, altresì, allarme sociale e concreto pericolo per l’ordine pubblico a cagione della sua indubbia potenzialità criminosa e dei rapporti di connessione e interdipendenza con altre attività illecite: veri e propri sodalizi criminosi, articolati in vari gruppi, e ramificati in campo nazionale e internazionale, tengono le fila di tutto un lucroso traffico, dal punto di partenza a quello di arrivo, ove non pochi immigrati clandestini finiscono per essere – attraverso varie forme di costrizione e induzione (necessità di pagamento del debito contratto con l’organizzazione per il viaggio, stato di bisogno, attività di coazione, pressioni, opera di suggestione, violenze di ogni genere, ecc.) – impiegati in imprese delittuose (alimentando i canali del reclutamento e dello sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero, della contraffazione di documenti, del traffico d’armi, di sostanze stupefacenti e altro), e restano spesso, altresì, vittime di violenza privata, estorsione, sequestro di persona, induzione alla prostituzione, tratta delle donne nonché di vere e proprie forme di riduzione in schiavitù. Dal canto loro, i c. d. passeur fanno ricorso a mezzi, tecniche e stratagemmi sempre più insidiosi, come quello, ad esempio, di infiltrarsi, simulati da extracomunitari, per agevolarne il passaggio nello Stato.
L’imponenza e la gravità del fenomeno sono tali da
richiedere una linea di azione organica, coerente e unitaria, per una
programmata incisiva e più efficace opera di contrasto di tale tipologia di
reati. Per il perseguimento di tale scopo, in conformità di preciso dovere di
osservanza della legge (artt. 55, 347 e 348 Cpp), sono state emanate le
direttive di carattere generale da parte di questo ufficio, essendo precipuo
compito della polizia giudiziaria ogni attività diretta alla scoperta dei
reati, della ricerca dei loro autori, delle fonti di prova e della necessità di
impedire che i reati stessi siano portati a ulteriori conseguenze. Nel quadro di
questi compiti si inserisce, quindi, la necessità dell’esame di persone in
grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Sarebbe, invero,
irrazionale e impensabile ad esempio, in caso di aggressione o di sequestro di
persona, tralasciare l’assunzione dei testimoni e delle dichiarazioni delle
vittime per risalire all’identità dei responsabili di tali fatti.
Analogamente nel corso dell’attività investigativa degli illeciti legati all’immigrazione
di clandestini, non può prescindersi dall’esame degli immigrati in condizione
di fornire circostanze di decisiva importanza circa le modalità del loro
ingresso nello Stato, il percorso seguito, l’accertamento della identità dei
soggetti coinvolti nell’illecito traffico (promotori, organizzatori,
compartecipi, ecc.), la funzione direttiva e di trasporto da altri svolta, l’entità
e forma del compenso promesso o concretamente corrisposto a sodalizi criminali
e/o a singoli favoreggiatori. Solo attraverso l’acquisizione dei predetti
elementi l’indagine può considerarsi esauriente rispetto allo schema legale
dei reati in questione.
L’attività investigativa non può, invero, ridursi a una mera quanto inane
operazione contabile di registrazione del numero degli immigrati ma deve
necessariamente estendersi a ogni indagine ritenuta necessaria ai fini dell’accertamento
dei reati e dell’individuazione degli autori e quindi anche a quegli atti –
quali l’assunzione di informazioni dai clandestini – che tale finalità sono
diretti a conseguire. Le direttive emanate in via generale e programmatica da
questo ufficio altro non sono, quindi, che la traduzione e l’esplicazione –
riferite a una categoria particolare di illeciti – di un principio sancito dal
codice di rito e dalla scelta di concentrare il massimo sforzo nella lotta alla
criminalità organizzata. Né questa linea di condotta – assunta nella totale
aderenza alla normativa vigente – può implicare una qualsivoglia
compromissione dell’autonomia operativa delle forze dell’ordine cui spetta,
nell’espletamento dei compiti di ricerca e raccolta delle prove di reati,
totale discrezionalità tecnica espressa nella facoltà di iniziativa a scelta
dell’organizzazione e attuazione del servizio e di compimento – secondo le
modalità e le forme ritenute più opportune – di tutte le attività di
indagini, nessuna esclusa, ritenute necessarie per accertare i reati.
L’articolista richiama, altresì, le obiettive difficoltà operative inerenti al flusso migratorio, di maggiore imponenza nell’area confinaria di Gorizia rispetto a quello riscontrabile nel circondario di Trieste. Ciò è vero; ma, al riguardo, sarebbe più utile riflettere sulla causa del fatto per cui i trasportatori preferiscono il percorso di Gorizia a quello che passa da Trieste e chiedersi se essa, in una situazione caratterizzata da un’estensione dei confini pressoché uguale (circa 50 km sia per Gorizia che per Trieste) non possa ravvisarsi nei risultati conseguiti a Trieste mediante l’adozione, fin dal momento iniziale dell’emergenza «clandestini» di una linea di azione (analoga a quella introdotta di recente anche a Gorizia) che ha consentito di contrastare nella maniera più efficace il fenomeno in questione.
Come si vede le direttive – di carattere generale – fissate da questa Procura allo scopo di fronteggiare adeguatamente un fenomeno delittuoso di indubbia gravità e serietà e di ridurre, in particolare, il potere delle organizzazioni che controllano l’immigrazione clandestina, non sono né cervellotiche, né arbitrarie, né inutili e tantomeno irrispettose dell’autonomia delle forze dell’ordine, ma sono state adottate in coerenza di precise e ineludibili disposizioni di legge, che tutti abbiamo il dovere di osservare e di pretenderne il rispetto.
Un’ultima considerazione: diversamente da quanto congetturato nell’articolo, le attività di indagine effettuate secondo l’indirizzo sopra delineato, han consentito il conseguimento di concreti e importanti risultati, anche attraverso l’acquisizione di dati suscettibili di ulteriori sviluppi e utili per l’identificazione di promotori, organizzatori e favoreggiatori, in genere, dell’illecito traffico; ciò, sia chiaro, grazie al senso del dovere, alla professionalità e allo spirito di sacrificio delle Forze dell’Ordine che, pur trovandosi a operare in situazioni oggettivamente critiche e difficili, di fronte alla richiesta di un impegno a carattere straordinario, hanno assolto il proprio compito, e continueranno a farlo, nel migliore dei modi.
Il Procuratore della Repubblica Carmine Laudisio