del 08 aprile 2001

 

Risolto nell’arco di 40 ore il giallo legato alla morte del giovane curdo in un bagno del Centro Caritas Alì si è impiccato, liberato l’iracheno

La svolta dagli esiti dell’autopsia. Su Yusuf Haci pendono però altri reati

Un giallo risolto in 40 ore. Nel modo più semplice, pur nella sua drammaticità. Alì Bolukbas, il giovane turco di etnia curda trovato morto giovedì notte in un bagno del Centro della Caritas diocesana di Gorizia, si è effettivamente tolto la vita impiccandosi. È stata l’autopsia effettuata ieri pomeriggio dall’anatomopatologo triestino Costantinides a far cadere ogni residuale dubbio. «Asfissia per soffocamento per impiccagione»: è la sintetica casuale del decesso che consente di chiudere il caso. Ma, soprattutto, di aprire le porte del carcere di Gorizia dove era stato rinchiuso, in seguito a un fermo giudiziario per omicidio, il ventenne iracheno Yusuf Haci.

Il decreto di immediata liberazione è stato firmato nel tardo pomeriggio di ieri dal sostituto procuratore Massimo De Bortoli che quanto prima firmerà anche l’autorizzazione preventiva al decreto di espulsione. Yusuf Haci riprenderà in mano la sua vita, dopo quaranta ore di silenzi, dubbi, equivoci e disattenzioni. Su di lui, tecnicamente, continuano a pendere le ipotesi di reato di false generalità e di induzione al falso ideologico, per essersi «appropriato» dell’identità del coetaneo morto e di aver così acquisito il suo decreto di espulsione. Ma non sarà ne il primo ne l’ultimo clandestino che a non partecipare alle successive tappe dell’istruttoria.

Rimane l’amarezza di un ventenne che, dopo aver percorso migliaia di chilometri, decide che è più difficile vivere che morire. E rimane il rammarico di non poter neppure comprendere le motivazioni del suicidio. Nessuno conosceva Alì. Interrogati dalla polizia, gli altri 36 clandestini fermati alla stazione ferroviaria non hanno saputo fornire notizie sul ragazzo, la sua storia, le sue aspirazioni. Erano solo occasionali compagni di viaggio e come tali sono ripartiti verso quella Germania alla quale Alì ambiva. Nessun biglietto di addio, nessuno sfogo con i connazionali: solo l’ipotesi che il scoprirsi solo, senza denaro (gli avevano trovato addosso solo il passaporto) e ancora così lontano dalla Germania si sia rivelato un peso insostenibile, così schiacciato tra realtà e aspirazioni.

Storie di miseria e disagio dove i volti e i sogni di due coetanei, Alì e Yusuf, finiscono per fondersi come in una tragedia greca. Uno ha scelto la morte, il secondo ha vissuto il dramma del carcere per aver adottato una disperata linea difensiva che, con quei silenzi ostinati e la mancanza di un interprete curdo carmangi, avevano dilatato i sospetti e i dubbi. A complicare il caso quel decreto di espulsione e quel verbale di perquisizione trovati nella sua tasca. Accanto al desiderio di agguantare prima del dovuto il «lasciapassare», vi è l’indubbia confusione e difficoltà che regna al momento dell’identificazione e dell’«appello». Centinaia di volti che si susseguono in modo caotico dinanzi agli occhi dei poliziotti. Un «peccato veniale» che per 40 ore ha generato un possibile assassino.

E della morte di Alì se ne è occupato anche Dino Frisullo che, a nome dell’associazione Azad, ha osservato che «l’Alto commissariato per i profughi delle Nazioni Unite deve intervenire su una situazione che vede centinaia di profughi curdi respinti o espulsi ogni giorno alle frontiere di Trieste, Gorizia, Otranto, Bari e Brindisi». «Questa morte deve almeno ottenere che la questione curda, del diritto di asilo e dell’impegno internazionale per la pace - ha concluso - non sia rimossa dall’imminente campagna elettorale e dalla coscienza della politica italiana».