dell' 8 marzo 2001
CRONACA REGIONALE
Ma davvero gli ingressi illegali sono diminuiti? È bastata
una visita all’alba alla stazione di Gorizia per accorgersi che sono cambiati
solo orari e percorsi
Clandestini a frotte, l’emergenza è immutata
I testimoni diretti: «Sono centinaia, come tre mesi fa». Viaggio in treno con due filippini terrorizzati dal passeur
GORIZIA - La curiosità
è una gran brutta malattia. Stuzzica interrogativi, talvolta scomodi. Possibile
che l’emergenza clandestini sia stata sconfitta dalla semplice aggiunta di una
pattuglia mista? Che fine hanno fatto le centinaia di immigrati che ogni notte
varcavano il confine isontino? Si può considerare risolto il caso-Gorizia?
Tante domande, un’unica certezza: gli equipaggi italo-sloveni sono essenziali
sicuramente per far lievitare le pratiche di riammissione.
NELLA «TERRA DI NESSUNO»
La tentazione di voler andare oltre alle statistiche ci ha
riportato alla stazione ferroviaria di Gorizia, quella «terra di nessuno» da
dove i clandestini nei
mesi scorsi partivano per raggiungere il resto dell’Europa. Ed ecco la
sorpresa: qui tutto è rimasto cristallizzato a ottobre. «In certi giorni i
clandestini sono numerosi come un tempo - spiega Gregorio Donda, capo gestione
superiore -. Per salire sul treno delle 6 sbucano dal nulla anche in trenta o
quaranta. Cambiano nascondigli, ma l’emergenza è rimasta tale. Una mattina li
abbiamo addirittura visti scendere dagli alberi del piazzale dove avevano
cercato rifugio». Gli fa eco il capostazione Livio Buzzinelli: «Ma lo sa che
la scorsa settimana mentre leggevo la notizia del ministro Bianco che a Lubiana
dichiarava chiusa l’emergenza - racconta tra il divertito e il preoccupato -
ho alzato gli occhi e, sotto la pensilina, ho visto un centinaio di clandestini
in attesa di fuggire in treno?». E poi ci sono i pendolari («Iniziamo la
giornata viaggiando con gli immigrati. Ormai è un’abitudine», commenta un
impiegato statale). «Sono viaggiatori modello: pagano il biglietto, non cercano
storie. Meglio di certi nostri connazionali...», spiega invece il bigliettaio
del treno che preferisce identificarsi solo con il numero di matricola, 544179.
QUEI CLANDESTINI «FANTASMA»
Ma come spiegare queste presenze silenziose che sfuggono alle statistiche? Sul traffico di uomini, è noto, gli interessi sono altissimi. È dunque impensabile che le organizzazioni criminali scegliessero di subire la strategia del Viminale. La polizia alza il tiro e loro modificano il proprio «modus operandi». Complice l’ormai nota assenza della polizia ferroviaria (la cui sede goriziana apre solo alle 7, un’ora dopo la partenza del treno «strategico» per Udine) e giocando sul cambio di turno tra le pattuglie, i passeur hanno ripreso con rinnovato vigore la strada verso la stazione. La città è sotto la morsa delle pattuglie? Allora si ritorna nella «terra di nessuno», ripercorrendo quei viottoli che costeggiano la linea ferroviaria. Perché, in stazione, c’è ancora un’ora di tempo per giocarsi il futuro.
UNA FUGA MINUTO PER MINUTO
In viaggio con i clandestini in fuga. Trentatrè chilometri in treno, condividendo la rotta verso una nuova vita. Trentatrè chilometri con la paura di essere notati, fermati, rimpatriati. E con loro un «angelo custode». Un Caronte arrogante che, forte di un’evidente conoscenza di orari e tragitti, li traghetterà altrove. Una fuga iniziata nella notte quando nove clandestini ospitati nel centro d’accoglienza di don Di Piazza a Gorizia hanno preferito non attendere il nuovo giorno: già fermati dalla polizia, infatti, ieri dovevano essere riammessi in Slovenia. Cinque sono stati ripresi dagli agenti. Gli altri quattro - una coppia filippina e due irakeni - li ritroviamo in stazione. Nasce così, del tutto casualmente, la cronaca di una fuga iniziata a Gorizia, con tappa a Udine, per proseguire verso Venezia e quindi Milano. Poi, chissà.
ALLE 5.30 IN STAZIONE Arrivano alle 5.30 infagottati in giacchini troppo leggeri per le fredde notti isontine. Gli occhi straniti di chi teme tutto e tutto. Ubbidienti e indifesi si muovono come bambini. Ma a dirigere i loro passi non è un padre affettuoso, bensì un giovane magrebino che indica loro dove sedersi, come muoversi, quando parlare. Lui, invece, agisce nervosamente. Si guarda attorno. Verifica l’assenza di forze dell’ordine, poi s’incolla al cellulare. Entra ed esce dall’atrio, con l’irrequietezza di chi si pone in gioco per una manciata di clandestini. Doveva muoversi con un «carico» standard di nove immigrati e ora si ritrova a rischiare per pochi uomini. Passano i minuti. In stazione arrivano altri viaggiatori, ma non i cinque clandestini che mancano all’appello. Chissà se avrà saputo che sono stati presi dalla polizia... Alle 5.57 l’altoparlante annuncia l’arrivo del treno al binario due. Il passeur accompagna i clandestini passo dopo passo. Salgono in carrozza e si siedono. All’arrivo del controllore, incrociano gli sguardi. A un cenno d’assenso del magrebino, la coppia chiede i biglietti per Milano, pagando in lire italiane. Altrettanto farà lui. Attorno a loro qualche pendolare, sguardo sonnecchioso di chi approfitta di ogni attimo per guadagnare energie.
DIALOGHI DIFFICILI E TANTA PAURA Il peggio, al momento,
sembra passato. La coppia abbozza un sorriso. È un attimo. Appena ci
avviciniamo la ragazza inizia a snocciolare un rosario, sussurrando una
preghiera. Capelli lunghi neri, lineamenti dolci, occhi spauriti che sbucano da
sotto una maglia azzurra. Il dialogo in inglese è ostico, non tanto per l’incapacità
di comunicare ma per il loro timore di farlo. «Mi chiamo Tina, ho 27 anni»,
risponde cercando il conforto dell’amico. Nel sedile a lato, il magrebino
tradisce una volutamente malcelata irritazione. «Il mio nome è James e ho 40
anni - replica l’uomo -. Andiamo a Milano. Ci attendono dei parenti. Poi
continueremo il viaggio. Vogliamo solo lavorare». Solo più tardi si
conoscerà, nel dettaglio, i loro nomi e la loro storia: Maria Cristina Reyes e
Jaime Lajom. Frasi cortesi, ma nel limite del previsto e del prevedibile. Quando
la conversazione si sposta su interrogativi più circoscritti, ecco riemergere
la paura. Come siete arrivati a Gorizia? Avete viaggiato nascosti in auto o in
camion? Dove siete veramente diretti? Chi vi ha aiutato? Lui, l’«angelo
custode», si sistema sulla poltroncina in modo appariscente. Scivolano dei
gesti che appaiono segnali in codice: «Zitti!». E lo sguardo di Tina, che ha
ripreso a snocciolare il rosario, svela più di mille parole.
L’ARROGANZA DEL PASSEUR Perché non rivolgersi direttamente a lui, dunque?
Quel ragazzotto scostante che tanto intimoriva i «suoi» clandestini ora finge
di dormire. In un sussulto di spavalderia, all’improvviso decide di non
rifuggere dal confronto. Ma è una farsa. Parla in italiano, poi finge di non
capire. Le frasi si tramutano in inglese, poi in francese, infine in tedesco.
Vuole dimostrare padronanza e una certa «professionalità» nel suo
«mestiere». «Vuoi sapere come mi chiamo? Ashi... Gli anni? Venti...», recita
con aria da bullo capace anche di fare il duro. «Certo, vado anch’io a
Milano... È il mio lavoro», commenta sornione mentre le mani indicano i
«suoi» clandestini.
LE STRADE SI DIVIDONO Alle 6.40 il treno arriva a Udine. Maria Cristina e Jaime, guidati da Ashi, scendono al binario cinque e salgono, in quello seguente, sul treno delle 6.46 diretto a Venezia. Si ritrovano assieme nello stesso scompartimento. Ashi rimprovera energicamente i due filippini rei, probabilmente, di aver parlato. Gesticola, si inalbera. Il treno parte per la città lagunare. Oltre il finestrino, c’è Maria Cristina. Occhi carichi di paura che graffiano il cuore.
Saranno disperati, ma gli extracomunitari pagano in contanti il biglietto del treno: incassi doppi rispetto alla media
E intanto le Fs fanno affari d’oro
GORIZIA - Ferrovie dello
Stato: ovvero, quando l’emergenza clandestini può essere un... affare. Anche
questo è un aspetto degli accresciuti flussi migratori lungo la fascia
confinaria italo-slovena. Perché è proprio dalla stazione di Gorizia che i
clandestini partono per raggiungere Milano, Venezia e Ventimiglia e, quindi,
Francia, Inghilterra e Germania. Immigrati che, per non dare troppo nell’occhio
ed evitare imprevisti che possano interrompere la loro corsa verso un nuova
vita, preferiscono stringere in mano il biglietto di viaggio. E proprio gli
sportelli goriziani diventano così un inusuale termometro dell’emergenza
clandestini.
Qualche esempio? Negli anni passati la vendita di biglietti ha garantito alla stazione di Gorizia incassi mensili che si assestavano in media sui 200 milioni. Un trend che è iniziato a modificarsi con gli accresciuti ingressi clandestini. Nel giugno 2000 si è così passati a 289 milioni, in luglio a 299 milioni, in agosto a 287 milioni. Da settembre, poi, il vero exploit: nei 30 giorni del nono mese gli sportelli goriziani hanno emesso biglietti per 342 milioni, mentre in ottobre si è passati a 401 milioni e in novembre a 380 milioni. Fino a toccare il record di dicembre: ben 416 milioni, ovvero il doppio della media mensile 1999!
In coincidenza con l’avvio della sperimentazione delle pattuglie miste, lo scorso gennaio si è chiuso con un incasso di 300 milioni, poi però risalito a 325 milioni nei soli 28 giorni di febbraio. Dati, quindi, che non si discostano dall’andamento dell’autunno scorso, proprio quando Gorizia e il suo confine iniziava ad assumere i connotati di caso nazionale. Ma quei 300 milioni, e i relativi biglietti emessi a un’utenza dalle mille nazionalità, rappresentano anche il sintomo di un’emergenza che appare più sopita che veramente sconfitta.