del 6 gennaio 2001
CRONACA DI GORIZIA
I sindacati di Polizia perplessi riguardo le modalità
operative con cui agenti italiani e sloveni pattuglieranno il confine
«Assurde le ronde miste disarmate»
Il Sap: «Non chiediamo la licenza di uccidere, ma almeno quella di difenderci dai passeur»
di FLAVIO NANUT
Le pattuglie miste italo-slovene sul confine non piacciono ai
sindacati di Polizia. Soprattutto al Sap e al Lisipo, che non hanno usato mezzi
termini nell’esprimere contrarietà e dubbi sul provvedimento adottato dalle
autorità italiane e da quelle d’oltreconfine. L’esperimento doveva partire
domani ma, come riferivamo nell’edizione di ieri, è stato posticipato al 15
di questo stesso mese. Una settimana che, tuttavia, non serve a fugare i dubbi
delle organizzazioni sindacali dei poliziotti circa la validità dell’operazione.
Ricordiamo che l’azione delle pattuglie, composte entrambe da tre uomini,
sarà supportata dall’impiego di un elicottero, abilitato al volo notturno e
con personale tutto italiano. Nella prima fase, che dovrebbe durare un mese, i
controlli saranno concentrati su una striscia di territorio compresa fra i
valichi di Merna e Salcano. Le pattuglie opereranno su un turno di sei ore. Gli
accordi prevedono che gli agenti italiani non possano essere armati quando
opereranno in Slovenia: stessa cosa è prevista per i poliziotti d’oltreconfine
nel nostro territorio.
E, proprio su questo aspetto, il segretario nazionale del Sap, Maccari, si dice
«esterrefatto»: «Disarmati? Ma stiamo scherzando? La situazione – tuona
Maccari – è già difficile, adesso mi pare diventi drammatica. Non più tardi
di un mese fa, un passeur a Trieste ha sparato a un finanziere. Questa è gente
che sullo sfruttamento dell’immigrazione guadagna e bene. E non ha paura di
nessuno. Non chiediamo la licenza di uccidere, ma perlomeno quella di
difenderci».
Più cauto il giudizio di Avantaggiato, del Siulp: «Abbiamo preso atto di questa forma di collaborazione fra la Polizia dei due Stati e adesso – afferma il rappresentante sindacale – aspettiamo di verificare modalità e risultati. Quello che è stato deciso compare soltanto sulla carta. Resta da vedere quale sarà l’impatto con la realtà. Le armi? Il rintraccio di clandestini non è un’azione repressiva, per cui non mi preoccuperei di questo aspetto. Vogliamo, tuttavia, verificare – conclude – su quali normative si siano basate le autorità di casa nostra e quelle slovene per dare corpo a questa forma di collaborazione sulla frontiera».
Perplessità sono state espresse dal segretario provinciale
del Lisipo, De Marco, secondo il quale «questo sistema non farà altro che
creare disagi e dissidi fra gli operatori di Polizia. I poliziotti italiani –
spiega De Marco – che andranno a fare servizio oltreconfine dovranno conoscere
lo sloveno, così come disposto dalla circolare ministeriale. Ma, a detta del
Lisipo, per tale servizio non è affatto necessario conoscere quella lingua. E
al momento esiste un solo operatore munito di patentito di traduttore sloveno,
per cui in teoria – rimarca il segretario sindacale – sarebbe il solo
abilitato a far parte delle pattuglie» E poi c’è un problema legato ai
soldi. Già, proprio così. A detta di De Marco, non è da sottovalutare il
fatto che verrà corrisposta un’indennità di missione di 80-100 dollari Usa
giornalieri che, se non equamente distribuita, creerà forti tensioni e
polemiche fra il personale. Il Lisipo è dell’opinione che a far parte delle
pattuglie miste debba esserci il personale che quotidianamente è impiegato a
contatto con i clandestini, «il quale è abituato a perquisire, rifocillare e
comunque a prestare assistenza e che ha acquisito una conoscenza professionale
non indifferente».
Non va, poi, dimenticata un’altra questione. Con i pattugliamenti degli agenti
italiani e sloveni, non è escluso che, perlomeno nei primi giorni, il flusso di
clandestini rintracciati sia destinato ad aumentare. Dove saranno sistemati, se
la caserma Massarelli "scoppia", la "Polonio" di Gradisca,
futuro centro di accoglienza, non è ancora operativa e l’ex collegio San
Giuseppe della Caritas attende ancora una parola chiarificatrice da Roma?