del 05 aprile 2001

 

Il modello attuato dalla Dda di Trieste non è «importabile» in una Gorizia dove gli immigrati da interrogare sono anche centinaia a notte

Procura-Polizia, stress da clandestini

Troppe carte e procedure complesse di fatto rallentano le indagini e i pattugliamenti


Quattro funzionari di polizia entrano nell’ufficio del procuratore della Repubblica, Carmine Laudisio. Sorridono, ma si avverte che non è una visita totalmente di cortesia. Non è da tutti i giorni, infatti, un summit con il questore Salvatore Mulas, il capo della squadra mobile Carlo Lorito, il capo della IV zona della Polfrontiera Giuseppe Padulano e quello della sezione goriziana Luigi Amorosa. Un vertice riservato, vissuto con l’attenzione e la delicatezza che il tema richiede. Perché, al centro di quell’incontro di ieri mattina in Procura, vi è l’emergenza nell’emergenza clandestini. Un gioco di parole per sintetizzare quanto da alcuni temuto, da altri denunciato, da molti vissuto con l’imbarazzo di chi deve eseguire un ordine pur non comprendendone l’efficacia. L’oggetto del contendere sono le direttive recentemente emesse dalla Procura per contrastare il traffico di clandestini. Procedure che in gran parte ricalcano il famoso «modello Trieste» avviato dalla Direzione distrettuale antimafia, ma che una volta calate nella realtà goriziana hanno dimostrato alcuni pesanti limiti.

Gli sforzi di tutti, magistrati e investigatori, - è doveroso precisarlo - sono rivolti al contrasto dell’emergenza clandestini e all’individuazione dei trafficanti di uomini, nello sforzo comune di non limitarsi al mero rintraccio degli extracomunitari entrati illegalmente in Italia, ma di compiere quel salto di qualità da più tempo e parti sollecitato. I problemi sono sorti quando si è trattato di rendere operative le buone intenzioni in una Gorizia dove in una notte si possono intercettare anche oltre cento immigrati. Perché il dover interrogare ogni singolo clandestino - con i conseguenti problemi di reperimento di un interprete, relazioni, autorizzazioni preventive e deleghe - oltre a essere vissuto come una mortificazione dell’autonomia della polizia giudiziaria, di fatto comporta un rallentamento dell’attività operativa. Per assumere qualsiasi provvedimento nei confronti dell’immigrato (espulsione o respingimento), per esempio, deve essere richiesta l’autorizzazione preventiva della magistratura in quanto il clandestino, una volta interrogato, assume lo status di potenziale teste in una ipotetica indagine nei possibili confronti di un passeur. Troppe presunzioni per investigatori abituati a operare sulle certezze delle notizie di reato.

Poliziotti impegnati a stilare carte su carte, con l’intuibile sacrificio di indagini e pattugliamenti. Non sarà certo un caso se un sindacato di polizia - il Siulp - in una nota del 26 marzo denunciò le manchevolezze delle nuove direttive tanto da preannunciare l’avvio, in sede nazionale, di una «vertenza sicurezza».
Ma la nuova emergenza clandestini non può essere gestita nell’emozionalità di sfumature siano esse polemiche, sindacali o altro. Si tratta di difficoltà operative che, come tali, i vertici della Polizia e della Procura devono (e intendono) esaminare e risolvere. «Nessuna tensione, per carità - risponde secco il questore Mulas, infastidito dalla ’fuga di notizie’ - Con la magistratura stiamo esaminando i flussi migratori e la gestione dell’attività di contrasto. In tutte le cose esistono delle migliorie apportabili, ma in questo momento l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono i malintesi e le forzature».
È come attraversare un campo minato. Tutti conoscono il malessere, ma nessuno lo definisce, nella speranza e nell’attesa della sua risoluzione. Intuibile, dunque, il top secret posto sull’esito del vertice. Con una nota positiva: a muovere gli animi non ci sono sterili equilibri di potere, ma il desiderio di trovare un accordo comune che consenta di ritornare a quei risultati operativi che hanno caratterizzato finora la lotta all’immigrazione clandestina.

Roberta Missio