del 4 marzo 2001

 

PAGINA DELL’ATTUALITA’

 

INTERVISTA Ecco il patto raggiunto dal nostro ministro dell’Interno a Lubiana sulle pattuglie miste di agenti italiani, sloveni e tedeschi al confine
Bianco: «Fermeremo la via croata dei clandestini»

«Lungo la frontiera fra Gorizia e Trieste si gioca una partita decisiva contro l’immigrazione illegale»


Dall’inviato
LUBIANA «La credibilità dell’Italia sul piano internazionale oggi si sta giocando tra Gorizia e Trieste. Perché la partita decisiva contro l’immigrazione clandestina in Europa viene affrontata proprio lungo quei 153 chilometri di confine italo-sloveno».

Enzo Bianco ora è più sereno. Lo intervistiamo nell’aereo del 31.mo stormo che da Lubiana lo sta portando a Catania. Ha da poco siglato l’accordo trilaterale con i ministri dell’Interno sloveno e tedesco, Bohinc e Schily. Un patto tanto strategico, quanto sofferto. Solo a Brdo, infatti, è emersa in tutto il suo spessore la tensione diplomatica che ha segnato quei sette giorni che hanno separato la conclusione della fase sperimentale delle pattuglie miste dalla firma della loro proroga. Sette, lunghissimi giorni nei quali la Slovenia ha posto sul tavolo gli accresciuti sacrifici conseguenti alle pattuglie miste. Un modo elegante per sintetizzare il rischio di collasso del già precario sistema d’accoglienza sloveno dinanzi al boom di rintracci e riammissioni. Tentennamenti che venerdì si sono infranti contro l’inflessibilità dell'ultimatum posto da Bianco e Schily: linea dura contro i clandestini o addio all’agognato ingresso nell’Unione europea.

Ad accordi siglati si conceda una confidenza: la trattativa è stata così ardua?
Onestamente è stata dura. Gli sloveni hanno esposto chiaramente tutte le loro difficoltà. È ovvio che la maggiore collaborazione investigativa stia facendo gonfiare la presenza di clandestini nei territori di Lubiana. L’emergenza si sta spostando sul confine con la Croazia dove, domani, inevitabilmente esploderà lo stesso problema. Intanto, però, si allontana sempre di più dall’Italia la linea dell’emergenza e questo, obiettivamente, per noi è un successo.

Altri contrasti avrebbero riguardato anche la possibilità di tutti i componenti delle pattuglie miste di essere armati.

Non è facile trovare un sistema grazie al quale un poliziotto italiano possa andare armato in territorio sloveno e viceversa. Nessuno ha la bacchetta magica. Nessun governo, né di centro-destra né di centro-sinistra. E i problemi non si risolvono con gli slogan, ma con le azioni serie.

La soluzione, dunque, è in vista?

Probabilmente riusciamo a trovarla senza effettuare modifiche legislative, così come abbiamo fatto con l’Austria e la Germania per le pattuglie al Brennero. Abbiamo infatti trovato un sistema che si baserà su un’autorizzazione tecnica siglata direttamente dal ministro dell’Interno e dal capo della Polizia. Tutto grazie a un codicillo...
L’uso delle armi è stato uno dei motivi di contrasto anche con alcuni sindacati di polizia.
Comprendo le loro preoccupazioni, anche se talvolta prevale la voglia di dire comunque «Non si può fare» e di lamentarsi a priori. Con il tempo, però, abbiamo visto alcuni sindacati giudicare utili e positive le pattuglie miste. Del resto non è possibile denunciare che le cose vanno male e poi affermare che qualunque idea nuova non può andare avanti. L’esperimento è stato positivo e, ovviamente, lo sarà ancor più con i nuovi accorgimenti.

Novità in vista per il Friuli-Venezia Giulia?

Oggi (venerdì, ndr) il Dipartimento della pubblica sicurezza ha varato il piano operativo predisposto dal prefetto di Trieste al quale compete anche il coordinamento regionale. In occasione della visita a Gorizia, avevo affidato a Vincenzo Grimaldi il compito di studiare una migliore dislocazione sul territorio e un coordinamento più efficace tra le forze di polizia. Oggi quel piano diventa realtà.

Qualche anticipazione?

La linea fondamentale è questa: utilizzare le risorse con maggiore razionalità anche nella lotta all’immigrazione clandestina. I pattugliamenti a mare, per esempio, saranno svolti solo dalla Guardia di finanza. In tal modo utilizzeremo tutti gli uomini della polizia e dei carabinieri nel controllo del territorio e delle fasce confinarie, assegnando prevalentemente ai primi i pattugliamenti nelle grandi città e all’Arma quelli dei centri minori. Un’altra azione fondamentale riguarda poi i centri d’accoglienza.
Già, i centri... Uno doveva sorgere già in gennaio a Gradisca. I tempi, però, si stanno allungando.
Dopo aver immediatamente localizzato il centro, stanno per svolgersi i lavori di riadattamento. Entro il 2001 il centro sarà operativo. E poi c’è la disponibilità del sindaco di Trieste a verificare la possibilità di un secondo centro per il Friuli-Venezia Giulia.
Centri di accoglienza o di temporanea permanenza?

Personalmente ritengo che, in prospettiva, bisogna realizzare soprattutto centri di temporanea permanenza. Se l’azione di contrasto ai flussi clandestini vuole essere veramente efficace dobbiamo poter contare su dei centri dove trattenere quanti non hanno titolo per essere in Italia in attesa dell’identificazione e dell’espulsione.
Tornando a Gradisca....

Non è mancanza di volontà. Stiamo istituendo questi centri in tutta Italia e in contemporanea: uno nuovo a Bologna, uno individuato a Modena, stiamo raddoppiando quello di Roma. Ci sono anche tempi tecnici da rispettare. Comunque il mio obiettivo è realizzarne almeno cinque o sei entro l’anno.

Solo problemi tecnici?

Obiettivamente sui centri dovevamo fare i conti anche con la spada di Damocle rappresentata dalla Corte Costituzionale (chiamata a pronunciarsi sulla loro legittimità, ndr). Oggi sembra che abbia deciso in senso favorevole e quindi, quando verrà ufficializzato, potremo riprendere con determinazione questa strada.
L’emergenza clandestini in Friuli-Venezia Giulia non ha assunto i connotati del caso nazionale in tempi tempestivi. Disattenzione o malinteso?

Serenamente devo dire che non c’è stata un’immediatezza di reazione anche perché, probabilmente, sembrava solo un flusso temporaneo. Con il tempo abbiamo invece capito trattarsi di una vera e propria modifica strutturale. A quel punto abbiamo agito. C’è voluto comunque del tempo per ragionare, discutere e convincere gli sloveni dell’opportunità delle pattuglie miste. Tante le resistenze da vincere. Non dimentichiamoci che nel settore della polizia ogni Stato è tendenzialmente geloso della propria sovranità nazionale. Si tratta di modificare un approccio operativo, ma anche culturale.

Anche in Italia?

La partita contro i flussi clandestini non è una partita a inseguimento. Appena si fronteggia in modo adeguato un fronte, se ne apre un secondo. Siamo passati dalle rotte Tunisia-Sicilia e Albania-Puglia alle cosiddette navi carretta dalla Turchia. Ora le rotte riguardano la Croazia e la Slovenia. Insomma una cosa sono gli slogan, i manifesti dei presidenti-operai con le scritte «Basta clandestini». Ben diverso, invece, è attuare azioni vere ed efficaci. Uno slogan richiede pochi secondi, un’azione credibile mesi di lavoro. Non mi aspetto un voto positivo dagli avversari. Mi piace che a darlo sia stato invece un Paese attento com’è quella Germania che, due anni fa, ostacolava il nostro ingresso a Schengen.

 

 

Commissariato europeo, cercasi sede. Molti i problemi ancora da risolvere


GORIZIA - A.A.A. Commissariato pronto utilizzo cercasi. Si fa presto a varare le pattuglie italo-slovene-tedesche e il commissariato misto. Ma, poi, come si gestisce sul campo questo embrione di polizia europea di frontiera? Dove alloggiare gli agenti tedeschi? Dove trovare i poliziotti multilingue? In quali stanze piazzare gli ufici di coordinamento? I tedeschi saranno disarmati come gli italiani o potranno contare sulle loro semiautomatiche Glock?

Interrogativi di non poco conto. Anche perché gli annunci, se non vengono seguiti in tempi ragionevoli dai fatti, prestano il fianco ai giudizi. «Non sarà l’ennesima uscita propagandistica? - si chiede il segretario provinciale del Sap, Angelo Obit - Il progetto, se reale, è ovviamente positivo e proprio Gorizia appare il sito più adeguato per ospitare una struttura con compiti extraterritoriali».

Interrogativi e dubbi che non tarderanno a ottenere risposta. Già mercoledì, infatti, nella Scuola della Polfrontiera di Duino è in programma un primo vertice operativo al quale parteciperanno rappresentanti del Viminale e della polizia slovena. Massima riservatezza sui contenuti, ma qualche indiscrezione consente di tratteggiare già il progetto goriziano. Proprio nei giorni in cui Bianco e Schily erano a Tirana e Lubiana, per esempio, vertici del Dipartimento di Pubblica sicurezza e della Polfrontiera erano a Berlino. In agenda proprio le pattuglie miste. Spetterà ora alla Germania decidere se inviare nuovi agenti federali o se dislocare in Friuli-Venezia Giulia il contingente di poliziotti attualmente impegnati, come osservatori, in Puglia.

Il commissariato misto, invece, potrebbe essere inizialmente ospitato alla Casa Rossa in attesa di decidere (e eventualmente reperire i fondi) se realizzare una struttura ex novo o ristrutturare altri locali di pertinenza del ministero. Le pattuglie italo-slovene verranno poi triplicate. Non più il singolo equipaggio per sei ore di vigilanza lungo il confine, ma fino a sei pattuglie nell’arco delle 24 ore. Sempre mercoledì dovrebbe essere definito quel «codicillo» che permette il reciproco invio di agenti armati, tramutando gli operatori da «osservatori» in poliziotti a tutti gli effetti.

L’ufficializzazione operativa avverrà il 16 marzo a Roma in un incontro tra il capo della polizia italiana Gianni De Gennaro e il suo omologo sloveno Marko Pogorevc. A sancire, anche pubblicamente, la nascita della polizia europea di frontiera ci penserà invece il ministro Bianco in persona. «Entro la fine di marzo sarò nuovamente a Gorizia e Trieste, probabilmente assieme al ministro Bohinc - ha commentato - per dare in tal modo un messaggio di forte incoraggiamento a questo nuovo modulo di cooperazione assolutamente innovativo».